Lavorare per Repubblica a 2 euro l’ora

giacomo drudiGiacomo Drudi ha 24 anni, nel cassetto una laurea in Design industriale alla IUAV e attualmente sta per completare la laurea magistrale al Politecnico di Milano in Design della comunicazione. E’ di Cesena però, e per poter studiare e vivere a Milano in un appartamento con altri studenti deve cercare qualche lavoretto visto che, spiega, “la situazione economica in famiglia al momento è quella che è”.

Nella tarda primavera legge un annuncio su Career Service – il sito che mette in contatto studenti del Politecnico con le aziende per effettuare stage o essere inseriti in posti di lavoro veri e propri – da parte del gruppo Repubblica-L’Espresso. Un annuncio generico per un posto come “impaginatore e grafico per l’edizione cartacea del quotidiano”. Sede di lavoro: Milano.

“Ho inviato il mio cv – racconta – e dopo qualche tempo, nel giugno scorso, mi hanno chiamato per un colloquio nella sede milanese di via Nervesa”.  L’incontro con un redattore  “sarà durato cinque minuti. Non mi ha chiesto niente di me e di cosa so fare, mi ha semplicemente specificato la natura dell’offerta: si trattava di inserire nelle celle della versione modificata ad hoc di X-Press che utilizzano per l’impaginazione del cartaceo i pezzi che mi venivano passati, facendo solo attenzione al kerning, lo spazio fra coppie di caratteri. Orario di lavoro, dalle 12.30 fino alla chiusura dell’edizione milanese (21.30 circa) per due mesi, dal primo luglio al 31 agosto. Salario: 500 euro al mese, netti, nel quale comprendevano i primi 15 giorni di apprendistato”.

“Una paga da fame per me che ho bisogno di lavorare per poter studiare, tra l’altro per un’attività che non c’entra niente con gli studi che ho fatto né con il mestiere che ho imparato. In pratica si tratta di un lavoro da operaio, di mero inserimento dati. Immagino per una sostituzione ferie. Nessuna prospettiva al termine dei due mesi. Così, anche se i miei genitori insistevano perché accettassi di fare la gavetta, ho deciso di rinunciare. Quando mi hanno richiamato – ho visto dal display del cellulare che il numero era il loro – nemmeno ho risposto”.

La rabbia è tanta però, perché, continua Giacomo, “io come tutti i miei amici che fanno questa professione viviamo costantemente di queste frustrazioni. Vorremmo solo fare il nostro lavoro e avere qualche prospettiva. O almeno essere pagati dignitosamente. Io poi, se quello che mi proponevano avesse minimamente avuto a che fare con la mia professione di grafico, avrei accettato anche per una retribuzione inferiore. Ma fare tutt’altro per due euro l’ora no, non lo ritengo giusto”.

Giacomo però, come accade per centinaia di migliaia di giovani che si trovano di fronte a simili allettanti proposte, non rimacina la sua rabbia in silenzio. La rende pubblica sul suo profilo Linkedin con un post che riceve centinaia di commenti.  Questo:

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Il suo post comincia a girare sui social, Facebook e Twitter, e qualcuno comincia anche a scriverne: Germano Milite in un suo editoriale parla espressamente di “proposta schiavista del gruppo L’Espresso”, gruppo che nel 2013 ha registrato un utile – pur in calo rispetto al 2012 – di 3,7 milioni di euro.  Lo stesso gruppo che sul suo settimanale di punta fa i reportage sugli “operai 2.0” o i fotoservizi “sull’abitare precari a Milano” .

Ironia della sorte, Giacomo ha anche collaborato con lo IED – Istituto Europeo di Design – per realizzare un TED su “un’Italia che si muove, agisce, è protagonista del cambiamento: è fatta da un insieme di giovani che hanno deciso di restare in questo Paese e costruire qui il proprio futuro”. “Con loro mi sono trovato benissimo” precisa.

Nel suo post su Linkedin invece esprime tutta la sua rabbia, invitando i giovani talenti ad andarsene all’estero “perché – dice – siamo tutti stanchi di elemosinare lavoro e trovarci sempre di fronte a situazioni come quella che è capitata a me. Che poi sono la norma. Vorrei avere opportunità vere, non proposte come quella di Repubblica. Vorrei che ci ribellassimo tutti di fronte a simili offerte, anche se adesso sono spaventato delle possibili conseguenze per la visibilità che sta avendo su Internet questa vicenda. Poi ho paura che siccome sono uno che si ribella, nessuno mi darà più da lavorare”.

Dal canto suo Repubblica Milano – che abbiamo interpellato – nega tutto. Uno scocciatissimo redattore (“non mi piace il suo tono” che è poi il tono di chi fa domande e chiede chiarimenti) si rifiuta di darmi il nome, afferma di non conoscere questa persona – Giacomo Drudi si chiama, Signor Redattore Anonimo – e mi invita a rivolgermi all’Ufficio Personale del gruppo a Roma. Però è sabato pomeriggio del giorno dopo ferragosto e non c’è nessuno. Il centralinista mi consiglia di riprovare lunedì (cosa che faremo senz’altro) “ma – precisa – chiami solo di mattina”.

(Davide Lombardi)

AGGIORNAMENTO del 19/08/2014. A causa delle polemiche seguite agli articoli che  hanno raccontato la sua vicenda, Giacomo Drudi interviene oggi con un proprio documento pubblico in cui cerca di spiegare ulteriormente le proprie ragioni. Leggi.

Leggi anche: “Chi sta pagando la crisi?“. Il mondo dell’informazione come specchio del paese. Per un Giacomo Drudi che avrebbe guadagnato 500 euro al mese, c’è chi ne guadagna 50 mila. Li merita tutti?

9 pensieri su “Lavorare per Repubblica a 2 euro l’ora

  1. Troppi artisti e troppo pochi mecenati. Perché un giornale dovrebbe pagare tanto una cosa che può avere a poco? Alla fine e un business. Quel utile che porta a casa a fine anno e il suo obbiettivo non far star bene chi vuole vivere di parole o immagini. Peccato ma se vogliamo tutti fare lavori “fighi” dobbiamo aspettare di essere pagati noccioline.

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  2. Non si è capito, perché non l’ha detto, a che cifra avrebbe accettato.
    Quant’è questa cifra?
    Visto che il nocciolo della questione sono i soldi giusto il dettaglio più importante se l’è dimenticato, non è che non lo conosce nemmeno lui?

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    • con questo commento pongo fine alle mie conversazioni perchè credo che le questioni importanti siano state ampiamente discusse e una cifra non è il nocciolo della questione. Il mio compito finisce qui. Sono una persona molto semplice, e durante le mie esperienze di lavoro non ho mai, esclusa una volta, superata la soglia di precarietà. Ho sempre ricevuto quello che manco serve per pagarmi cibo, bollette,affitto. Non chiedo certo 2000 euro come farebbe qualcuno, sono giovane e devo fare esperienza-gavetta per meritarmi un apprezzamento che in quel caso sarebbe riconosciuto credo da diverse persone. Lei mi chiede una cifra spero non con l’intento di avere una risposta su cui fare speculazione, da una persona che come molti altri giovani, il lavoro lo vive come un utopia lontana, figuriamoci uno stipendio x vivere, e non come chi già lavora da anni e anni. Chiedo solo che si smetta di offrire contratti che mettono nelle condizioni di pensare a come arrivare alla fine del mese. Vivere con sobrietà, non sopravvivere. Poi il resto è tutto da meritare con i fatti.

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      • Non voglio fare nessuna speculazione, ma mettere l’accento sui soldi visto che mi par evidente che tutto è partito a causa di quei 500 euro al mese.
        Ma nonostante tutta la filippica che in linea di principio condivido manca appunto l’informazione più importante, avresti accettato per quale cifra?
        Scusa, ma se non lo sai tu chi lo dovrebbe sapere?

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  3. Grazie per la ricostruzione, attendo il seguito. Resta infatti da capire se questi trattamenti che propone Repubblica siano legali o meno. Non è chiaro se si trattasse di uno stage (ma a Drudi nessuno ha parlato di stage) o di una collaborazione. A quanto pare si trattava di un contratto di collaborazione per una sostituzione ferie. E’ legale sostituire un grafico dipendente in ferie con un collaboratore a 500 euro netti al mese? Credo proprio di no. E meno male, perché altrimenti tante aziende non ci penserebbero due volte, nei giornali e non solo.
    C’è poi chi sostiene che i giovani dovrebbero fare qualsiasi gavetta, accettare di lavorare a qualsiasi condizione. Io qualche lavoro sottopagato l’ho fatto, altri li ho rifiutati, non sempre a ragione col senno di poi.
    Ma il problema è che oggi la gavetta si fa a vita, non esiste più la prospettiva di accettare un po’ di sfruttamento oggi per avere garanzie domani. Semplicemente non ci sono più garanzie per intere generazioni. E chi si sente garantito è in realtà sempre più a rischio.

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